di Alfio Pelleriti
La prima cosa che si ricorda di Don Francesco Furnari è certo il suo sorriso. Quando lo si incontrava, Ciccio, prima ancora di parlare o di ascoltarti, ti accoglieva con un sorriso dolce, spontaneo, di uomo buono; poi allargava le braccia e ti stringeva a sé. Prima delle parole veniva il calore affettuoso dell’amico sempre disponibile ad analizzare pazientemente il problema dell’altro e ad avanzare possibili soluzioni o sapienti consigli.

L’ho conosciuto nei primi anni Settanta quando ero studente di filosofia all’università di Catania. Lui si era già laureato in filosofia ma continuava a fare ricerca nel campo della psicologia e della teologia (J. Maritain era il suo punto di riferimento costante). Spesso andavamo a trovarlo a casa e riusciva a sorprenderci sempre con le sue osservazioni mai banali, precise, puntuali e porte sempre con un sorriso o seguite da una battuta mai greve ma arguta e intelligentemente ironica. Quando poi doveva spiegare un concetto o dare un giudizio su un filosofo o su un regista o su un tema teologico o su Freud o Lacan o Jung, diventava serio, spiegava e ci regalava le sue conoscenze e le sue convinzioni, con garbo, con eleganza, con sobrietà e serietà. Del resto, era un comportamento naturale per lui poichè non apparteneva a quella categoria di uomini altezzosi e superbi che, tronfi, si gonfiano il petto come pavoni prima di pontificare per i “poveri mortali ignoranti”.
Stavo a sentirlo ammirato nutrendo grande stima per quel “gigante buono”, per quell’intellettuale autentico, dotato di grande sensibilità e di cultura profonda. Ero colpito dalla sua nobiltà d’animo che si rivelava dallo sguardo sempre dolce, accogliente; dalla voce sempre pacata, a tratti sussurrante; dal suo altruismo leggero, mai sbandierato ma custodito come un prezioso dono che Dio gli aveva elargito e che lui avrebbe saputo mettere in comunione con i fratelli più bisognosi insieme agli altri suoi talenti.

foto stampa. arcidiocesi. Palermo
Non i beni materiali o l’esercizio del potere furono i suoi obiettivi terreni ma l’elevazione spirituale attraverso la pratica della Carità cristiana a favore dei giovani caduti nella trappola della droga o dei ragazzi a rischio di devianza nei quartieri popolari di Palermo o in Salvador a fianco delle famiglie povere e sfruttate. Il suo è stato un cristianesimo coraggioso, attivo, prossemico, sincero, coerente, eroico, esercitato prima da laico poi da sacerdote. Volle essere come Gesù, pronunciando un “sì” chiaro innanzi alla dura parola del Messia: “Vuoi venire con me? Vendi i tuoi beni, dai il ricavato ai poveri e poi seguimi!” Ciccio non tornò triste alla sua casa, ma come Francesco d’Assisi e come tanti altri apostoli, accettò la Parola e con gioia si donò al suo prossimo.
L’ultima volta che lo incontrai lavorava come responsabile presso la comunità “Sentiero speranza” per il recupero dei giovani tossicodipendenti e dopo i saluti mi chiese di rinunciare a qualcosa che sapeva che io serbavo tra le cose più care: l’opera omnia di Sigmund Freud. Non capii allora che mi stava offrendo un’occasione per poter guardare il mondo con gli occhi dello Spirito superando gli ostacoli che il nostro Io pone alla nostra anima impedendole di volare alto. Mi offriva un’occasione di disfarmi di un bene materiale volgendo lo sguardo verso i fratelli che soffrono. Ma allora non capii perché mi avanzava quella richiesta e la rifiutai. Ora capisco e farò in modo di esaudire quel suo desiderio.
Dopo il suo funerale, qui in Chiesa Madre, mi sono chiesto perché Don Francesco Furnari non sia rimasto a Biancavilla preferendo luoghi lontani per il suo apostolato (San Salvador, Palermo, Alcamo) e ho risposto a me stesso che nel suo paese forse non era apprezzato come avrebbe meritato; molti furono i perplessi di fronte alle sue scelte che non collimavano con quelle dei benpensanti: perché una seconda laurea e non sfruttare subito la prima? Perché tanto studio non finalizzato a qualcosa di “concreto”, di economicamente rilevante? Perché occuparsi dei drogati? Perché non curare il patrimonio di famiglia invece di andare dietro a progetti “velleitari”? Perché stare sempre occupato nello studio, nella ricerca?
Uomini come Ciccio nella provinciale Biancavilla, ieri come oggi, sono isolati, contrastati, derisi; alle loro spalle montano maldicenze e critiche velenose perché non si sono adeguati agli schemi immarcescibili di una mentalità popolare gretta e ottusamente egoistica. “Ma nannu campau cent’anni pirchì si fici sempri i fatti suoi”; “U munnu è statu ed è!” “Cu avi pena de carni di l’autri a so’ sa mangianu i cani!” “Arra, arra, Arra chi tuoi!” Questi orrendi proverbi popolari sono ancora alla base di un sentire comune e trasversale a tutte le categorie sociali nel nostro avito paese.
Santina Costanzo ci scrive:
Da ragazza abitavamo a poca distanza, ed averlo visto percorrere per anni la mia stessa strada, me lo aveva reso così familiare da sentirlo come un parente, tanto più che il suo papà, amico del mio, non perdeva occasione per elogiarlo per la sua “intelligenza geniale” nello studio ed orgogliosamente lo proponeva da esempio.
Ci ha colti di sorpresa la sua prematura scomparsa e nel ricordarlo mi associo volentieri a tutto quanto hai detto di lui.
Francesco, oltre che grande studioso, ha consacrato la sua vita agli ultimi, ai bisognosi, ai sofferenti, senza chiedere niente in cambio.
Braccio destro di monsignor Calaciura ed ottimo collaboratore, ha saputo cogliere il messaggio evangelico con serietà e totale abbandono. Ha portato Gesù oltre i confini seguendo la Voce dell’Amore che non ti fa pesare la distanza o la mancanza delle comodità facili.
Il suo sorriso franco, aperto, leale unitamente alle sue parole saranno per chi lo ha conosciuto, come lampade. Anche se le domande possono essere tante, alle quali non possiamo dare sempre risposte consone, la sola che ci conforta è la certezza che Ciccio ha sempre creduto ed agito con fiducia infinita nella Parola, senza ripensamenti né tornaconti.
Sono le belle persone come Ciccio che ancora ci fanno credere e sperare che non tutto è perduto che si deve ancora operare e che il mondo di oggi, ha bisogno di cuori generosi ed altruisti.
Santina Costanzo
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