
di Andrea Ingiulla
Ho accolto con piacere l’invito rivoltomi dal direttore, prof. Alfio Pelleriti, di spiegare e commentare i principi fondamentali della nostra Costituzione, la quale, com’è noto, costituisce la legge fondamentale dello Stato e l’architrave su cui si regge l’ordinamento giuridico italiano.
Questa esposizione non vuole avere la pretesa di scientificità accademica, ma semplicemente quella di guidare il lettore in una riflessione su alcune norme costituzionali che, probabilmente, tanti non hanno avuto l’opportunità di leggere.
La Costituzione italiana del 1948 affonda le sue radici nei principi democratici, solidali e egualitari della tradizione liberale ottocentesca, affermati con la Rivoluzione Francese, sospesi durante l’esperienza del regime fascista e riemersi con forza negli anni della ricostruzione e rifondazione dello Stato repubblicano.
La nostra analisi segue a ritroso il percorso faticoso, ma allo stesso tempo esaltante, che ha condotto i Padri Costituenti a consegnare all’Italia una Carta moderna, innovativa e ancora oggi aperta alle istanze e ai bisogni di una Comunità in continuo movimento.
La storia è maestra di vita e la conoscenza del passato rappresenta un valore imprescindibile per vivere il presente. Ogni principio proclamato solennemente, idealizzato ed esaltato è ancora attuale, moderno e aperto alle continue innovazioni e sfide che il tempo odierno ci presenta.
E’ possibile che determinati ideali non muoiano mai, anche quando il corso della storia sembra offuscarli o affievolirli?
Le parole pronunciate dal prof. Pietro Calamandrei nel 1955, in occasione del discorso inaugurale di un ciclo di conferenze sulla Costituzione italiana agli studenti universitari di Milano, risuonano ancora oggi come monito alle nuove generazioni. “Ora vedete, io ho poco altro da dirvi. In questa Costituzione di cui sentirete fare il commento nelle prossime conferenze, c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie: son tutti sfociati qui negli articoli. (…). Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione!! Dietro ogni articolo di questa Costituzione o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta. Quindi quando vi ho detto che questa è una Carta morta: no, non è una Carta morta. (…) Questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”
Prima di entrare nel dettaglio delle singole norme, ricordiamo che la nostra Costituzione è stata redatta dall’Assemblea Costituente, eletta il 2 giugno 1946, in concomitanza con il referendum istituzionale per la scelta tra la monarchia o la repubblica, con un suffragio universale che aveva visto, per la prima volta nella storia d’Italia, la partecipazione al voto delle donne.
L’Assemblea Costituente, composta da 556 membri provenienti in larga parte dai tre grandi partiti di massa (Democrazia Cristiana, Partito Socialista, Partito Comunista) approvò il testo definitivo della Costituzione il 22 dicembre 1947, con 453 voti favorevoli su 515 votanti. Essa venne quindi firmata dal Capo Provvisorio dello Stato Enrico De Nicola ed entrò in vigore il 1 gennaio 1948.
La Costituzione italiana è composta da 139 articoli, oltre le disposizioni transitorie e finali. All’interno del testo si distinguono i “Principi fondamentali” (artt.1-12); la parte prima, intitolata “Diritti e doveri dei cittadini” (artt.13-54); la parte seconda, intitolata “Ordinamento della Repubblica” (artt.55-139). La nostra lettura sarà incentrata solo sui primi dodici articoli, immutabili e non soggetti nella sostanza a revisione costituzionale (a differenza delle restanti parti) in quanto costituiscono i valori fondamentali della Repubblica.
Art.1 della Costituzione italiana
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
E’ netta, precisa e chiara l’affermazione del primo articolo della nostra Costituzione, che sancisce i principi della “democrazia”, della “sovranità popolare” e del “lavoro” come primi valori fondamentali. La Repubblica è democratica perché fondata sui principi di libertà e uguaglianza, riconquistati dopo la parentesi storica del regime fascista, che li aveva lentamente e inesorabilmente resi inesistenti, fino a cancellarli.
E’ democratico lo Stato che riconosce il pluralismo, le diversità, l’uguaglianza formale e sostanziale, la giustizia sociale, in contrapposizione allo Stato totalitario, dove tutto è riportato alla unicità (una sola idea, un solo partito politico, una sola informazione, assenza di controlli sull’esercizio del potere, disconoscimento dell’altro).
E’ democratico lo Stato in cui il potere, il governo della cosa pubblica appartiene al popolo, ma bisogna comprendere tale assunto. Andando indietro nel tempo, si arriva al mito dell’antica Atene, luogo simbolo della nascita della democrazia e della politèia (nel senso di buon governo per il raggiungimento del bene comune). L’antica polis, fiorente in sapienza, cultura, arte e civiltà, è stata un vero laboratorio in cui sono nati ideali e sono state sperimentate forme di amministrazione che ci piace considerare come profonde radici della moderna democratica.
Ma nessuno pensi che il concetto di governo del popolo possa significare assumere coralmente e collegialmente ogni singola decisione politica, ogni singola legge, ogni singolo atto di amministrazione. Ne risulterebbe un sistema complicato, difficile da gestire e, forse, anche inceppato.
E’, invece, democratico lo Stato in cui la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, secondo la felice, quanto travagliata, scelta lessicale dei nostri Padri Costituenti.
La sovranità popolare è da intendere come fonte di legittimazione del potere, il cui esercizio spetta agli organi politici a ciò preposti (Parlamento e Governo legati dal rapporto fiduciario). Il popolo esercita la sua sovranità nelle forme e nei limiti che la Costituzione ha fissato, ossia attraverso libere elezioni, cui partecipano coloro che hanno il diritto di elettorato attivo (corpo elettorale).
Queste riflessioni inducono a ripensare l’uso oramai consueto e onnipresente dei termini sovranismo e populismo, per indicare la difesa estrema del potere popolare. Sicuramente i due termini derivano rispettivamente da sovrano e popolo, ma il loro significato non coincide con il concetto di sovranità popolare nel senso voluto dalla nostra Costituzione; al contrario, i due termini rappresentano una forma degenerata rispettivamente di sovranità e popolo. Il sovranismo è inteso come strenua difesa dei confini nazionali e disconoscimento incondizionato di ingerenze esterne di poteri, mentre il populismo è inteso come esaltazione del popolo e delle sue istanze fino al disconoscimento di qualunque regola e procedura della democrazia rappresentativa, anche a costo di scadere nell’esercizio del potere in forma plebiscitaria.
Nel disegno dei Padri Costituenti non c’è spazio né per il sovranismo, né per il populismo, poiché essi hanno disegnato con sapiente cura uno Stato democratico, pluralista, solidale, sovrano, che difende il proprio territorio, ma nello stesso tempo consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni (art.11 Cost.).
Un ultimo cenno, solo in ordine di analisi, non certo per importanza, merita il riferimento al lavoro, come altro valore fondante del nostro ordinamento, tanto da meritare la sua presenza nel primo articolo.
Nell’Assemblea Costituente, durante i lavori che portarono a delineare i caratteri del nuovo Stato repubblicano, si è dovuto sempre trovare un “compromesso” tra le forze politiche. L’avere posto il principio lavorista nell’articolo uno fu frutto del compromesso tra le forze cattoliche e quelle progressiste (che avevano proposto in un primo momento il riferimento alla Repubblica di lavoratori in luogo dell’espressione fondata sul lavoro).
Nella Repubblica democratica, il lavoro è l’unico elemento che qualifica la dignità della persona umana, non i titoli nobiliari o le discendenze familiari.
Il lavoro non è inteso solo come strumento di produzione di mezzi di sussistenza o di affermazione sociale. Esso è, invece, l’unico elemento nobilitante la dignità di ogni persona che, come riaffermato con forza dal successivo articolo 4, ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società.
Lo Stato ha il dovere di promuovere ogni iniziativa affinchè il diritto al lavoro sia reso possibile, concreto e attuabile e quanto previsto nell’articolo 1 corrisponda a realtà e non rimanga lettera morta.
Ci piace concludere questa breve riflessione ancora con le semplici, ma incisive, parole di Pietro Calamandrei rivolte agli studenti, quando ricorda loro che non bisogna essere indifferenti alla politica, ma occorre vigilare sempre sulle libertà e sulle conquiste civili, perché “la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai.”