di Alfio Pelleriti
Nabil è un giovane amico marocchino che vive a Biancavilla ormai da diversi anni, punto di riferimento per i suoi connazionali che vedono in lui un amico sincero e generoso,. Con lui vorrei trattare alcuni temi per poter capire se la mia e la sua sensibilità verso le problematiche sociali del nostro tempo sono vicine e si possono incontrare nonostante siamo persone che hanno ricevuto una formazione culturale e religiosa diversa.
Vorrei cominciare da un argomento di drammatica attualità, quello della immigrazione e connesso con esso quello dell’integrazione degli extra comunitari.
Secondo te, Nabil, tu e i tuoi connazionali, vi sentite accolti in questa terra di Sicilia e dalla comunità biancavillese in particolare?
In generale si, abbiamo un buon rapporto con tante persone, tuttavia sentiamo da parte di qualcuno una certa resistenza e una chiusura a rapporti che non siano esclusivamente di carattere lavorativo.
Come giudichi la politica finora intrapresa dal governo italiano dei “porti chiusi”?
Non credo sia una giusta soluzione. Io auspico maggiore dialogo tra l’Europa e gli Stati africani e asiatici per facilitare politiche migratorie che tengano conto delle situazioni dei paesi che devono accogliere, affinchè si stabiliscano dei flussi controllati di arrivi e di eventuali rimpatri. L’Europa dovrebbe inoltre aiutare gli Stati del Terzo e del Quarto mondo perché si aprano alla democrazia e ad uno sviluppo economico e sociale, i cui frutti possano poi distribuirsi alla popolazione tutta. Quei popoli sono oppressi da governanti corrotti e complici di società multinazionali che sfruttano le grandi risorse dell’Africa inquinando spesso il territorio in maniera irreversibile. Si dovrebbe cominciare dalla Libia dove delle organizzazioni criminali approfittano dei disperati per accumulare ricchezze.
Vorrei sottoporti due esempi di integrazione: il “modello Riace” in Italia e il modello Canadà in campo internazionale. In entrambi i casi la diversità culturale è diventata una risorsa anziché un problema.
Sono realtà diverse, tuttavia ritengo che una regola fondamentale sia quella per cui i migranti devono accettare la cultura del popolo ospitante senza rinunciare alla propria. In tal modo si possono creare le condizioni per un dialogo che porta certamente dei vantaggi ad entrambi.
La chiesa cattolica, le autorità religiose in generale, contribuiscono alla soluzione del problema della convivenza tra individui che sono diversi per formazione e per credo religioso?
La parte più “progressista” è certamente aperta all’accoglienza ma la stessa cosa non si può dire dei conservatori o tradizionalisti che non ci prendono in considerazione.
Ci sono pregiudizi molto forti che ostacolano l’integrazione: la razza, le tradizioni culturali, la mentalità, le confessioni religiose. Secondo te, quali tra tali condizioni costituiscono un vero ostacolo all’integrazione?
Tutte queste caratteristiche possono diventare ostacoli insormontabili, noto però che si sono fatti passi in avanti negli ultimi anni e spero che la mentalità di tutti possa cambiare e superare qualsiasi pregiudizio.
A proposito di confessione religiosa in questo numero della rivista ci siamo occupati del “senso del cristianesimo” ed è emersa l’esigenza di mettere al centro delle relazioni umane il messaggio evangelico e la figura di Gesù, che significa avere misericordia per i peccatori, compassione per gli “ultimi” e gli sfruttati, mettere al centro delle relazioni umane il perdono e l’amore.
Trovi, da musulmano, nel messaggio di Gesù dei punti di contatto con l’Islam?
Si, certo. Esistono molti concetti simili: l’amore per il prossimo e l’invito alla generosità verso i poveri; la preghiera costante a Dio perché ci fortifichi nella fede; il mantenimento della pace. Gesù per noi è un importante profeta e lo apprezziamo molto come sua madre, Maria.
Credi nella possibilità della multiculturalità e multireligiosità all’interno di una comunità nazionale?
Si. Certo.
I nascenti nazionalismi vedono nella globalizzazione un sistema da abbattere perché ogni popolo possa affermare la propria identità. Pensi che tale tendenza possa aiutare o danneggiare i paesi del Maghreb e il Medio Oriente in generale?
Sicuramente penso che la tendenza all’affermazione dei nazionalismi, con la loro carica di odio e di chiusura al confronto tra culture, può portare solo problemi ai paesi arabi e a quelli del Maghreb. La globalizzazione è invece un approccio positivo alle problematiche aperte nei paesi in via di sviluppo.
Immagina di trovarti in Marocco e di stare parlando con un tuo amico che non conosce la Sicilia. Indicagli un elemento positivo e uno negativo che hai riscontrato nei tuoi anni di permanenza in Sicilia.
Della Sicilia mi piace molto l’ambiente naturale, il clima dolce e mite. La superficialità della gente nel giudicare e un provincialismo diffuso nel comportamento sono gli aspetti negativi.
Mi puoi indicare un aspetto positivo del Marocco che ti manca tanto e un altro che speri di non trovare al tuo ritorno in patria?
L’accoglienza degli stranieri è il tratto più caratteristico del mio popolo per il quale sono orgoglioso. L’ospitalità e la generosità fanno parte della nostra cultura. Al mio ritorno spero di non trovare la povertà e la sofferenza che ancora attanagliano tanta parte del popolo marocchino.
Quali riforme ti piacerebbe si attuassero nei paesi arabi perché finalmente si possa parlare di “primavera” politica?
Varare una Carta costituzionale che contenga leggi che possano ben regolamentare tutti i settori dello Stato con leggi che vengano rispettate da tutti. Auguro al mio popolo amministratori della cosa pubblica onesti e con alto senso di responsabilità. Auguro riforme ispirate al rispetto dei diritti umani fondamentali