Internet ha ferito la democrazia

di Marco Minissale

Proteggere ed ascoltare il più ampio spettro di punti di vista credo che debba essere la base di ogni pensiero democratico. Il pluralismo conduce per sua natura ad una più ampia partecipazione all’impegno politico e sociale, favorendo il sorgere di una saggezza della folla che dovrebbe in teoria meglio amministrare la cosa pubblica. Rinchiudersi in una spirale che ha il centro come punto finale risulta quindi incompatibile con la nozione di democrazia che la civiltà occidentale ha creato negli ultimi 3000 anni.

L’esplosione di internet, 20 anni fa, aveva alimentato la speranza della pluralità: un mondo dove tutti potevano finalmente esprimersi liberamente e gratuitamente, un mondo dove tutti potevano finalmente leggere liberamente e aprire i propri orizzonti, un mondo in cui si potevano superare i limiti quantitativi imposti dalla democrazia rappresentativa dando vita ad una sorta di “pandemocrazia”. Ma una visione così ottimistica di internet non poteva non scontrarsi con lo spirito capitalistico insito nella nostra società occidentale. Un internet gratuito e libero (o quasi) da stringenti regole commerciali, a cui accedono miliardi di persone giornalmente rappresentava e rappresenta ancora un terreno troppo fertile per non essere usato come mezzo e al tempo stesso come fine del consumismo. Così col passare del tempo questo mondo virtuale parallelo ha attirato un numero crescente di imprenditori la cui parola d’ordine era chiaramente vendere. Internet è presto diventato il luogo ideale per condizionare gli utenti e per vendere. Ma vendere ha bisogno di regole ben precise, algoritmi e logiche non divergenti, bensì convergenti che restringano il campo delle scelte e che forzino tali scelte. Una logica convergente non può quindi lasciare libero l’individuo nella foresta d’informazioni, ma deve indicargli la strada utilizzando i suoi primi passi. Una totale libertà, un’istantanea possibilità di accesso alle informazioni rischierebbe di far perdere l’individuo e le sue tracce, e quindi vanificare lo scopo di aggiungere ancora un possibile consumatore. Creare un suo identikit e plasmare passo dopo passo, ricerca dopo ricerca, una personalità virtuale di cui pian piano sarà impossibile svestirsi, permetterà anche al navigatore consapevole di avere dei paletti ben stabili all’interno dei quali muoversi.

Insomma, da un lato un popolo che si sente libero di esprimere le proprie idee e di poter partecipare alla cosa pubblica, dall’altro delle aziende che si cibano delle opinioni degli utenti per offrirgli una piattaforma virtuale che soddisfi a pieno tali opinioni. Un circolo vizioso che dona sempre più valore all’individuo, o meglio alla sua personalità virtuale, che a sua volta avrà sempre più voglia di giocare un ruolo da protagonista. Come afferma Jaron Lanier, informatico noto per aver coniato la locuzione “realtà virtuale”, questo circolo vizioso assecondando l’utente costruisce un modello culturale narcisistico ed individualistico, un modello culturale polarizzato. Una piattaforma virtuale che è creata ad hoc per ogni utente non fa altro che proporgli qualcosa che molto probabilmente apprezzerà escludendo di fatto la serendipità. Tale fenomeno non può chiaramente favorire l’accesso alla pluralità di idee ed opinioni, ma al contrario contribuisce ad estremizzare l’utente. Egli infatti sarà ingabbiato in una personalità che internet (i motori di ricerca e i social media, per intenderci) ha creato gentilmente per lui, sarà confinato in un gruppo di persone che la pensano come lui, in un dominio di ricerche che gli ricorderanno ciò che già conosce; egli si specchierà nei consensi e riscontri positivi che pulluleranno attorno a sé e si convincerà che un “secundum non datur”.

Tale utente sarà indotto da gruppo a cui appartiene a polarizzare sempre più le proprie scelte e le proprie idee, e quindi non ascolterà le voci esterne perché il Web escluderà tali voci al fine di non creare confusione in un gruppo già polarizzato, per non spezzare il continuum della cultura narcisistica dell’individuo.

Tale estremizzazione sovverte il dogma della pluralità su cui la democrazia dovrebbe basarsi. Ma in una condizione polarizzata, come sostiene James Surowiecki (giornalista, autore del saggio “La saggezza delle folle”), la folla fallisce e dà un giudizio sbagliato. L’influenza del gruppo induce a pensare in maniera simile stroncando lo sviluppo di idee creative ed originali, favorendo di conseguenza il nascere e il prosperare di “ismi” di vario tipo.

Afferma Lanier: “abbiamo creato un mondo in cui ogni connessione e relazione di due persone è finanziata da una terza persona che pensa di poter manipolare le prime due”; solo una riforma di tale sistema può salvaguardare la libertà d’opinione degli individui e con essa proteggere la democrazia. Probabilmente 20 anni fa non avevamo compreso a pieno che il vento fresco di internet avrebbe potuto facilmente aprire delle porte per chiuderle inaspettatamente una volta oltrepassate.


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